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14 December 2025

Censura contro i Russi ma alla Scala spunta un'opera sovietica

 


Qualcuno ha definito il teatro della Scala come il tempio artistico  della massoneria. Una riprova è stata data quando ci fu il colpo di stato tecno-finanziario contro il governo Berlusconi nel 2011. Tutti ricorderanno che dopo la sua destituzione, Napolitano che ebbe una parte attiva nel...chiamiamolo  così "avvicendamento" del governo tecnico, si ritrovò poi alla Scala  con Mario Monti e - guardate un po' - per l'occasione diedero il Don Giovanni di  W. A. Mozart, autore notoriamente massone, iniziato alla Loggia  Zur Wohltatgkeit (Per Beneficienza) nel 1791. E non lo scrive qualche "complottista", ma sta su una pagina ufficiale del Grande Oriente. Con l'allora Presidente della Repubblica e il neo Primo Ministro non eletto, sul palco che assistettero belli rilassati al compimento della loro "missione". E con il personaggio del convitato di pietra (o commendatore) dalla camicia insanguinata che davanti a loro intonava l'aria "Don Giovanni a cenar teco mi invitasti".  All'evento  scaligero svoltosi il  7 dicembre 2011 dedicai un post   di riflessione, ricco di commenti intriganti che sono tornata a rileggere in questi giorni. 

Napolitano e Monti assistono al Don Giovanni di Mozart alla Scala (2011) 

Il 7 dicembre u.s, giorno di Sant'Ambrogio c'è stata, come è noto,  la prima di "Lady Macbeth del distretto di  Mcensk" di  Dimitrij Sciostakovic tratta dalla novella di Leskov.  Premetto che di questo compositore conosco solo un paio di cose: il concerto di Leningrado (sinfonia N.7) in linea coi dettami del realismo socialista. Ovvero, un’arte militante, adatta al mondo nuovo che si veniva costruendo nella neonata Unione SovieticaE pure quel valzer N.2 che Kubrick inserì  nel suo film "Eyes Wide Shut", un brano che personalmente trovo assai deprimente, ma adatto all'atmosfera decadente del film.  La mia conoscenza si esaurisce qui, perciò, mi ritengo una profana della sua opera. 

Non  farò discussioni formali sull'Opera che  è riuscita ad annoiarmi già al secondo tempo. E i tempi erano quattro. Qualcuno in questo sito mi ha già tolto le parole dalla tastiera: "Tutto, ma proprio tutto, depone a suo sfavore: durata impegnativa, trama feroce, linguaggio musicale che non fa prigionieri, nessuna melodia da canticchiare uscendo dal teatro".
 
Appunto! nessuna romanza da canticchiare, come avviene per il Melodramma italiano, ma qui siamo in URSS in un tempo in cui i furori della rivoluzione non si sono ancora sopiti; pertanto non vi sono dolcezze, né melodie.

Il resto è noia, nonostante la trama scabrosa, gli amplessi mimati, la protagonista pluriomicida (uccide il suocero, poi il marito, poi l'amante del suo ultimo compagno, ma poi si suicida in una catarsi di torce umane che prendono  fuoco). Non mancano  i soldatacci sovietici, le spie, i delatori e gli spiati,  i due amanti diabolici con un lui in canottiera, boxer e calzini  e una bella pancia in vista. "Realismo socialista" anche questo? La protagonista Katerina, del resto, indossava in molte scene, un dimesso tailleur marrone che la faceva sembrare  una commissaria del popolo piuttosto in sovrappeso. 
Ma la cosa più triste e deplorevole è aver visto  un Vespa e una Carlucci (le disgrazie non vengono mai sole)  nel foyer, i quali  si intendono di opera come io mi intendo di ingegneria  aerospaziale, mettersi lì a pontificare sulla rappresentazione, forti dei loro saperi sui Bignami che sono stati costretti a ripassare la sera prima del debutto.  Poi spunta il rapper Mahmood in livrea di lusso per la première, passando con disinvoltura del Rap, all'Opera.  Né mancano attorucci da fiction televisive come Veronica Pivetti che inneggiava all'eroina  così insubordinata al "patriarcato". Chi si volesse documentare sulla trama vada a questo link. Ma non è questo che mi interessa mettere a fuoco. 

Il soprano americano Sara Jakubiak interpreta il ruolo di Katerina


Quel che mi sconcerta è constatare che nessuno della stampa di sistema si è mai domandato il motivo assurdo per cui hanno bandito da concorsi internazionali  fior di pianisti, solo perché russi, mentre poi mandano in scena un'opera scritta nel periodo sovietico. Hanno  discriminato  ed escluso artisti giovani e dotati, dalla partecipazione ai concorsi, identificandoli come rappresentanti  ufficiali del governo russo:  una vera e propria aberrazione! E perché mai hanno di recente ostracizzato  il direttore russo Valery Gergiev alla Reggia di Caserta costringendolo ad annullare il concerto?
Perché hanno impedito a un relatore dell'Università Bicocca  di  Milano, di tenere la conferenza sul grande Dostoevskij? La scusa penosa era “evitare ogni forma di polemica in questo momento di tensione”. Per poi fare l'inutile balbettante retromarcia. 
Ce n'era perfino per i gatti russi che non potevano partecipare all'esposizione felina, perché gatti dell'Est. 
Insomma, in questi  quattro anni sono avvenute le più grottesche ridicolaggini censorie, ma adesso, a sorpresa, si mette in scena un autore sovietico, il quale in seguito ebbe contrasti con Stalin che lo censurò, secondo il copione dei soliti scontri inter-ideologici  fra "compagni"(le chiamano "contraddizioni in seno al popolo"). Un'opera poco conosciuta diretta da un regista russo (Vasily Barkhatov), col coro della Scala che cantava in russo, il soprano americano di origine polacca che gorgheggiava in russo.

Che cosa diavolo è cambiato? Si avvicina la Pax Americana nel conflitto russo-ucraino? O  meglio, una Pax russo-americana? O si mette in scena un'eroina che uccide invece di venire uccisa come solitamente avviene nel Melodramma classico, solo per spirito di rivolta? 
Ricordo la Carmen di Bizet che viene pugnalata da don José. Nell'opera di Verdi, Desdemona viene uccisa da Otello, per gelosia.  La Aida viene sepolta viva col suo Radames. Mimì nella Bohème di Puccini muore di tisi. La Butterfly si fa harakiri, perché viene abbandonata da Pinkerton, l'ufficiale di marina degli  Stati Uniti del quale era innamorata. Insomma, l'aver messo in scena un'opera con una provetta assassina, è da interpretare come la solita rivincita del femminismo sull'Opera che segna invece la caduta e  la sconfitta delle donne? Certamente ci sarà anche questa componente, ma, a mio avviso,  non dev'essere l'unica ragione.  
La scelta dell'Opera di Sciostakovic presenta  diverse zone d'ombra, ma di sicuro chi ha deciso  di mettere in scena un'opera ingombrante come quella, sa dove vuole andare a parare e quali messaggi, più o meno sottotraccia, vuole veicolare, dato che gli eventi della Scala vanno per il mondo. In ogni caso, anche questa volta,  ci troviamo davanti  a  uno sconcertante "contrordine compagni".

III Domenica di Avvento

05 December 2025

Il Bosco fa paura alle sinistre


Martin Heidegger nella Foresta nera (Schwarzwald)

Con ogni evidenza il  "Bosco" fa paura ai compagnucci, forse immemori che un tempo era il rifugio dei ribelli partigiani, i quali aspettavano i pacchi della sopravvivenza dagli elicotteri degli  Alleati, proprio dandosi alla "macchia". Non a caso in francese i partigiani venivano definiti les maquis, cioè coloro che si danno alla macchia. Dunque da dove viene questa cultura del sospetto da parte dell'attuale sinistra intellò per la parola "bosco" ?  E  più nello specifico, per un piccolo editore che  titola la sua attività pubblicistica "Passaggio al bosco"? Sembra di sentire una vecchia canzonetta di Sanremo: "Non mi portare nel bosco di sera/Ho paura del bosco di sera...". E se non ci scappasse da ridere, ci sarebbe quasi da piangere.

A proposito di bosco, ha fatto impressione anche a me, come suppongo a molti di voi, sentire le grida strazianti di quei poveri piccolini, strappati ai genitori nella nuova famiglia di neorurali dell'Aretino. Purtroppo occorre dire che la sinistra vince anche quando perde elettoralmente e non gode del consenso popolare. Perché? Perché occupa da tempo immemorabile tutte le casematte gramsciane delle istituzioni. Una su tutte, la magistratura che mostra di essere sempre più il braccio armato del Nuovo Ordine Mondiale. Le toghe sinistrate si sono messe a rastrellare (non trovo altri termini)  i boschi in cerca di piccoli inadempienti agli obblighi vaccinali, inviando in spedizione, i carabinieri e facendo presidiare il bosco da agenti in tuta anti-sommossa. Ma si rendono conto agli occhi dei fanciulli cosa vuol dire vivere simili traumatiche esperienze? E affermano pure di fare  tutto ciò, per il loro bene? Qui la cronaca e il video della recente impresa di sottrazione dei minori. 


Sul versante intellettuale,  notiamo invece gli sforzi  della gauche caviar, tutti volti a impedire che una casa editrice che si chiama per l'appunto, "Passaggio al bosco", esponga i suoi libri alla mostra di "Più libri più liberi". Curioso che il bosco faccia tanta paura alla sinistra. Ma quegli 80 e passa intellettuali che hanno firmato un manifesto, li conoscono o no,  i miti fondativi del  bosco nelle  varie culture nord-europee?  I cicli arturiani della Tavola Rotonda, hanno per sfondo il bosco, ad esempio. Ed è nel bosco che viene suggellata la fratellanza d'armi dei Cavalieri. Senza contare le varie fiabe popolari laddove il bosco, per i piccoli protagonisti, assume una funzione di iniziazione alla vita. Penso ai fratelli Grimm, ma non solo. 

La fiaba di Hansel e Gretel dei Grimm

Martin Heidegger, uno dei più  grandi filosofi al mondo, rifiutò prestigiose cattedre per continuare a lavorare non lontano dalla sua baita, sita nella Foresta Nera nel piccolo villaggio di Todnauberg, trasformando quel luogo, in un simbolo di vita autentica, di ritiro spirituale e di ricerca filosofica.   

Per Ernst Jünger , a sua volta influenzato da Heidegger, il bosco era il rifugio a cui attingere risorse psico-fisiche, ritrovando in esso, nuova linfa e ripristino di energie perdute. Il suo "Trattato del Ribelle" (guarda caso, il titolo originale del libro è Der Waldgang che significa per l'appunto "passaggio al bosco"), è un testo di una straordinaria modernità e attualità scritto, per paradosso, da un antimoderno, un anti-tecnologico e anti-tecnocratico come lui. Ecco la sinossi del prezioso volumetto:

 "Nei primi anni del dopoguerra, mentre si andava delineando quella integrazione planetaria nel nome della tecnica che oggi è sotto gli occhi di tutti, Ernst Jünger elaborò questo testo, apparso nel 1951, oggi più affilato che mai. La figura del Ribelle jüngeriano corrisponde a quella dell’anarca, del singolo braccato da un ordine che esige innanzitutto un controllo capillare e al quale egli sfugge scegliendo di «passare al bosco» – dissociandosi, una volta per sempre, dalla società. Il Ribelle jüngeriano sente di non appartenere più a niente e «varca con le proprie forze il meridiano zero».

 E invece a cosa assistiamo? Alla burla grottesca di oltre 80  scrittori, artisti, pseudo-artisti di regime che  hanno sottoscritto il loro manifesto editoriale di ciò che secondo loro deve essere pubblicato e cosa invece dev'essere censurato, perdendo quindi ogni diritto di venire letto. E fanno lo screening dell'editoria ideale secondo loro (politicamente corretta e ovviamente allineata), a una piccola casa editrice. 

Ma torno ai bambini del bosco. I  bambini  non sono figli dello Stato e delle istituzioni, e se è vero che non sono proprietà esclusiva dei loro genitori, come ha affermato con veemenza il magistrato Cecilia Angrisano sul primo caso della famiglia anglo-australiana, è altrettanto vero che non è lo stato a dover sindacare e intromettersi sugli stili di vita delle famiglie. Il criterio di non appartenenza, un bambino lo apprende più  tardi quando è adulto e non per decreto della magistratura, ma per scelta volontaria, quando l'individuo già formato si stacca di sua iniziativa dal nucleo familiare e parentale.  Pertanto è velleitario e arrogante pensare di esercitare tutela sui bambini senza rispetto per i loro genitori. Non siamo (ancora) in uno stato sovietico per fortuna, laddove poteva essere sottratta la patria potestà genitoriale. Le assistenti sociali  e gli psicologi non sono "mamma e papà". E nemmeno, genitore1 e genitore2.  Spero tanto che anche questa nuova perseguitata famiglia dell'Aretino possa avere lo stesso clamore mediatico di quella Trevallion-Birmigham, con relativa mobilitazione di massa. E' ora di finirla con questi abusi da totalitarismo sovietico mascherato da paternalismo che si pasce di termini come "casa-famiglia", "area protetta" e "dialogo protetto".

Ritornando al piccolo editore fiorentino di Passaggio al bosco, titolo evocativo del saggio jungeriano, spero che tutto l'ostracismo di cui è stato fatto oggetto, serva solo a dargli pubblicità e notorietà e a garantirgli più lettori. Per ora, a difendere il suo diritto a pubblicare è stato Innocenzo Cipolletta  della AIE (Associazione Italiana Editori) che mostra di saper tenere duro.  Nell'ambito della sinistra più indipendente e meno ottusa, sono da segnalare Massimo Cacciari e Giordano Bruno Guerri, secondo i quali le idee difformi non possono e non devono essere combattute a colpi di censura e di ostracismi.
Esiste o no, un libero mercato con tanto di libera scelta di quei prodotti editoriali detti libri?  O dobbiamo sorbirci per altri ottant'anni  il "mercato unico" di un'editoria "organica" al Partito sul tipo di Editori Riuniti e Edizioni Rinascita, di comunista memoria? Poi c'era (e c'è ancora) Feltrinelli, Samonà e Savelli che era trotzkista, e tanti altri editori piccoli e medi,  noti e meno noti, ma muniti di lasciapassare rigorosamente rosso. Insomma, il ragionamento delle 80 teste pensanti è questo: la cultura e l'editoria è, e deve rimanere, "cosa nostra". Un ragionamento che sa tanto di "cosca".

San Giulio

26 November 2025

La casetta nel bosco e i nuovi Orchi




Ho esitato a parlare della famiglia anglo-australiana Trevallion-Birmingham, più conosciuta come "la famiglia del bosco" di Chieti, perché ho visto che ci si è tuffato a pesce, l'intero apparato mediatico nazionale e internazionale (la notizia è rimbalzata per il mondo) togliendo pace e tranquillità a quei poveretti. Certo che scegliere di andarsene via dalla pazza folla, passare al bosco, per poi ritrovarsi uno strombazzanento a reti unificate e a testate giornalistiche all'unisono, non deve essere facile per chi lo subisce. In aggiunta a ciò, per Nathan (il padre) c'è l'allontanamento dei suoi familiari collocati in una "casa famiglia" di quelle istituite dallo stato. La faccenda è arcinota. 
Una famiglia anglo- australiana composta da padre, madre, tre figlioletti con l'aggiunta di cani, gatti, un cavallo, galline, dedita a una vita immersa nella wilderness e forse facente parte di uno di quei movimenti neorurali, si è vista sottrarre i bambini con l'accusa di non fornire un'abitazione adeguatamente sicura e messa a norma, con mancanza di servizi igienici (il bagno) cui si aggiungono altre critiche relative alla mancata scolarità, cure sanitarie  e alla   socializzazione dei bambini. E qui urge fermarmi su questo preciso punto. 

Dov'erano questi signori togati difensori dei diritti dei minori, quando improvvisamente ai bambini fu impedito di andare a scuola, per colpa dei confinamenti imposti durante il periodo della "pandemia"? Si fece un gran parlare di scuola virtuale e di sospensione delle lezioni frontali, di lezioni da remoto, di aule con banchi distanziati (i famigerati banchi a rotelle), di mascherine, di "distanziamento sociale"(e cioè fisico), di divieto di "assembramento"; si chiusero attività ginniche, piscine e corsi di nuoto. È forse questa la tanto declamata socializzazione, parola magica che tanto piace agli ambienti pedagogici della sinistra? Come al solito, si applica il più ipocrita dei doppi standard a seconda delle circostanze e delle convenienze.
Non è finita. La cosa ritenuta forse la  peggiore per il tribunale dei minori dell'Aquila, è che i bambini non sono stati sottoposti al ciclo delle vaccinazioni previste per l'infanzia in età scolare. E ben sappiamo che la Lorenzin quando era ministro della Sanità,  ha riservato 12 vaccini a stecca per i minori senza che i governi successivi al governo Renzi e Gentiloni abbiano mai aperto una  vera discussione e una riflessione sui loro effetti collaterali. 
Molto è stato detto circa la modesta struttura abitativa della casa nel bosco col gabinetto esterno. E' pur vero che siamo di fronte a uno stile di vita  certamente molto parco e limitato a necessità minime,  ma pur sempre con bambini sani, istruiti attraverso la scuola parentale già contemplata dalla Costituzione e  una casa in confronto alla quale i campi nomadi  ai margini delle città, appare quasi una villetta di lusso. Mi piacerebbe sapere perché vengono tollerati bambini dediti all'accattonaggio e al vagabondaggio, nei campi rom. O ragazzine dedite al furto e al  borseggio, ma poi le autorità giudiziarie e i servizi sociali si mostrano accaniti su questo tipo di vita detto "neorurale" che ovviamente non è il mio, e al quale non saprei mai adattarmici, ma che - non per questo - può venir punito con la brutale pratica della sottrazione dei figlioletti ai genitori. La risposta è  chiara. La famiglia Trevallion-Birmingham non ha nessuno che conta alle sue spalle, mentre sappiamo che i nomadi di varie etnie vengono protetti dall'ONU e dalle sue convenzioni nonché appoggiati dalle stesse comunità ebraiche.  
Forse dietro  a questa oscura faccenda c'è  molto di più, pertanto bisogna analizzare bene i vari dettagli. 



Lo Stato può togliere la patria potestà ai genitori sui propri figli se non approva un certo loro stile di vita? A quanto pare sì. Pertanto i figli non apparterrebbero  più al padre né alla madre, ma diventerebbero di fatto "i figli dello Stato", come avveniva  nell'ex regime sovietico  e nei regimi comunisti vigenti. Oggi è il turno della famiglia nel bosco, ma anche una casa  urbana "non messa a norma" secondo le regole Ue (tanto per fare un esempio banale), potrebbe far scattare misure sgradevoli per chiunque.  Per questo molte famiglie (anche non "rurali") si sentono solidali con quella del bosco di Chieti. Insomma, questa faccenda crea un precedente assai inquietante per chiunque volesse non adeguarsi a norme vessatorie. Non possiamo comunque accettare che i bambini diventino "figli dello Stato". In ogni caso, non  vogliamo l'ingerenza di uno Stato che punisce chi vuole vivere in modo diverso, quale che sia il motivo "etico". Ovviamente, l'ANM difende il provvedimento in oggetto parlando di "valutazioni tecniche" da tenere in considerazione e del pericolo di "strumentalizzazioni politiche". La famiglia nella casetta del bosco deve difendersi da nuovi Orchi e da nuove Streghe. E non sappiamo ancora come finirà questa strana favola. 

San Giacomo Alberione

20 November 2025

Ne inventano una al giorno: multare chi non vota







Sono rimasta allibita nel leggere un pezzo dell'editoriale del direttore de "La Stampa" Andrea Malaguti. A dire il vero non leggo mai il gioiellino editoriale della famiglia Agnelli-Elkann. L'ho appreso per via indiretta su La Verità da un fondo di Belpietro del 17 u.s. E sono rimasta così sbalordita che mi sono sentita in dovere di verificare se la notizia fosse stata gonfiata ad arte o se fosse vera. Ebbene sì, è vera. Sentite cosa dice Malaguti:


"Penso che dovremmo votare tutti. Obbligatoriamente. Per legge. C’è un’elezione? Si va. Per forza. Chi sta a casa paga (provocazione). Chi non va alle urne fa un danno alla collettività. Dunque, bisogna impegnarsi assieme prima che il sistema ci sfugga definitivamente di mano. In attesa che si riformi la cultura della partecipazione, agiamo su una forzatura. Non vediamo più gli elefanti nella stanza delle nostre vite. Due su tutti: il calo demografico e il tumultuoso e sregolato trionfo dell’intelligenza artificiale. Temi scomparsi dall’agenda politica, tra una discussione sui centri in Albania e un’altra sulla patrimoniale. [...] " L'editoriale del direttore Andrea Malaguti di 4 gg fa.


Ebbene dopo aver tentato di estorcerci forzosamente il consenso alle vaccinazioni con una multa illegale, illegittima e pertanto non dovuta, ora ci riprovano col voto e lo scrivono pure senza inibizioni: "agiamo su una forzatura". I miei nonni mi raccontavano da bambina che durante il ventennio fascista, chi non votava veniva prelevato a domicilio e trascinato alle urne, non prima di venire "purgato". Si riempiono ogni due per tre, la bocca sulla sacra parabola dell'"Antifascismo", ma poi sarebbero pronti a usare gli stessi metodi squadristi delle camicie nere. Lo sa o no, tutto questo Malaguti? Ma si che lo sa! E magari sarebbe pure pronto a dichiarare che in questo caso,  è per il "bene della democrazia", dell'Italia,  che è per non fare un "danno alla collettività",  proprio come dicevano questi signori ai tempi del virus. Basta ricordare il sepolcrale motto di Draghi: "Chi non si vaccina si ammala, muore". E fa morire. E vengo alle ragioni che il direttore della Stampa non è capace di vedere, nel sempre crescente fenomeno dell' astensionismo, fenomeno che non riguarda solo il nostro Paese. 
Chi non vota non è un terrorista né un attentatore della democrazia né un anarchico alla Bresci, ma manifesta una posizione di protesta nei confronti di chi non rispetta gli Italiani, a partire dal mandato elettorale. Troppe volte il voto è stato scippato e portato su un binario morto. Lo fu nel 1994 allorché gli Italiani votarono per Berlusconi, ma l'allora presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro usò Bossi per far cadere un governo legittimamente eletto, per far largo al banchiere Lamberto Dini. Lo fu nel 2011 quando per mano delle manovre del presidente Napolitano in accordo coi circoli bancari europei (la letterina di Trichet e di Draghi della Bce) si inventarono il pretesto dello spread per far sloggiare il Cavaliere, mettendo Mario Monti e altri androidi di Bruxelles, al posto suo. Lo fu quando alla caduta di Conte che ci aveva torchiato ben bene con i confinamenti e i Dpcm, è venuta meno la fiducia. 
Sergio Mattarella invece di restituire la parola agli elettori, ha creduto opportuno di imporci Mario Draghi in veste di Grande Vaccinatore. Perciò chi se ne sta a casetta propria e non mette la scheda nell'urna, lo fa per protesta, e ha tutto il diritto di farlo. E se la Costituzione dichiara che il popolo è sovrano, ci spieghino perché di volta in volta, il voto viene impedito, vanificato e dirottato altrove. Perché, di volta in volta, c'è lo zampino di qualche presidente della repubblica, del "vincolo esterno" della Ue, dei parametri di Maastricht, dei banchieri centrali, dello spread, delle varie "emergenze" create per l'uopo. Ovvero, per la sospensione della democrazia elettorale. 
 
Non vi è bastata la figuraccia di palta che avete fatto cercando di multare chi non si vaccina? 
La Madre di tutti i problemi non è multare chi non va a votare, ma saper rispettare gli elettori che in passato avranno pure votato, ma che constatano che il loro voto disattende le loro aspettative, a causa di "vincoli esterni",  di cessioni di sovranità, e di camarille e intrighi interni, di magistrati che impediscono l'attuazioni di  quelle leggi che i cittadini ritengono giuste. In Usa, tra l'altro, quasi da sempre vota solo una minoranza. Anche alle ultime elezioni gli elettori sono stati appena più di 150 milioni su 325 milioni di cittadini residenti. E allora da quelle parti che hanno fatto? Multe per tutti i non votanti? 
Non è neanche costituzionale pensare a una simile forzosa soluzione. Infatti l'articolo 48 della Costituzione parla di "dovere civico" e di "diritto" che non può venir in alcun modo limitato. ( Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico). Ma non sancisce che è un obbligo.
 
I pennivendoli se lo leggano e rileggano, l'art 48,  prima di scrivere simili scempiaggini. Certo che devono essere proprio alla frutta i poteri marci e i loro megafoni per fare simili proposte di  coartare i reticenti e i renitenti al voto, per mezzo delle multe!
Una scommessa? Se dovessero adottare un simile provvedimento, sono quasi certa che l'astensione crescerebbe ancora di più.  

San Ottavio




13 November 2025

Valditara indietro tutta (e un po' a sinistra)




E così pure Valditara, il ministro dell'Istruzione in quota Lega, è caduto nel trappolone della sinistra. Bastava applicare il Vangelo (sia la vostra risposta sì, si o no no; il di più appartiene al demonio)  per rimanere indenni dalle trappole. E un po' di zolfo, con l'emendamento del provvedimento in commissione Cultura che fa macchina indietro sull'educazione sessuale, in effetti c'è stato. Perché fare entrare,  "l'educazione affettiva", abile camuffamento semantico della parola "sessuale", nei programmi scolastici delle materie di studio? Ma soprattutto, perché bisogna insegnarlo perfino alle medie inferiori ai ragazzini di 11-12 anni, a patto che ci sia il "consenso informato e preventivo" dei genitori? Una vera e propria finestra di Overton per arrivare indottrinare financo i bambini delle elementari. E difatti si è  già fatto avanti Gino Cecchettin,  padre della povera Giulia uccisa da Turetta, il quale avrebbe dichiarato che i corsi sulla cosiddetta affettività andrebbero fatti ad ogni età e per ogni ordine di scuola, allo scopo di sradicare il "patriarcato". 
Mi sembra già di vedere il film: faide fra genitori progressisti e di sinistra favorevoli all'educazione sessuale precoce, contro faide fra genitori di destra più conservatori, e per questo, magari additati al pubblico ludibrio come "reazionari, parrucconi, fascisti".
"Non bastava la pletora di insegnanti di sostegno che affollano le classi, le scissioni continue nella scolaresca per riconoscere diversità d'ogni tipo; ora dividiamo pure i ragazzini tra figli di bigotti e figli di permissivi", sostiene Veneziani.
Già. Ne sa qualcosa chi, come la sottoscritta, ha lavorato nella scuola, sempre più ridotta a fare da vetrina e da collettore di tutto quanto di peggio già imperversa nella società. C'è la droga? Parliamone a scuola. C'è la guerra? Parliamone a scuola. C'è la violenza sulle donne, le baby gang, gli stupri? Parliamone a scuola...
E allora ecco attivarsi le solite beghine della sagrestia rossa con l'Educazione alla Pace, l'educazione all'inclusione, l'educazione ai buoni sentimenti, l'educazione contro i discorsi d'Odio, l'educazione per questo, la contro-educazione per quello. La scuola non funziona da tempo perché rincorre affannosamente la società ("il Sociale" - lo chiamano i compagnucci) invece di difendersi, dai suoi guasti e dalle sue continue aggressioni, e di costituire tra le sue mura, un luogo di pacata riflessione, di studio, di capacità di stare insieme, di rispetto dei reciproci ruoli, di salvaguardia e di applicazione degli strumenti critici e conoscitivi. In tutti questi anni  non ha fatto che inzavorrare e assorbire nei propri programmi  sempre più  bulimici (i curricula) la banalità malefica dei media, degli organismi sovranazionali e delle loro subdole agende che s' insinuano magari sotto forma di circolari ministeriali. Per non dire delle ideologie che tarpano le ali alla vera conoscenza. Sì, ma allora sorge spontanea una domanda:  quando si studia per davvero? Quand' è che si fa astrazione dalle cattive sirene? Quand'è che si mettono i tappi alle orecchie come i compagni di Ulisse e magari si rema, si naviga nel Mare Magno dei veri saperi? E' un'avventura esaltante che nessuno sa più intraprendere da tempo.
Tra i brutti incubi che affollano la mia mente, dopo questo cedimento del governo all'educazione affettiva o sessuo-affettiva come da eufemismi da rimpiattino, c'è la nascita di un bel Collettivo (rosso) Genitori Democratici. Me li  vedo già davanti, lì a pontificare occupando le casematte gramsciane; gli unici auto-accreditati a difendere "il diritto allo studio", il diritto all'inclusione, la sessualità quale "diritto umano", il credere che basti fare un po' di lezioncine sul sesso per illudersi di contrastare la violenza sulle donne.  Dulcis in fundo, naturalmente, ad ergersi quale baluardo granitico a difesa della Costituzione antifascista.



Valditara ha avuto paura di differenziarsi troppo da quelle stesse forze politiche che lo hanno aggredito ieri in un Parlamento fatto di urla, insulti e vociacce come al  mercato del pesce, nel timore di sembrare antiquato, retrogrado, chiuso e antimoderno. Sono spiacente, ma non concordo con l'ottimismo di Massimo Gandolfini del Family Day che oggi trionfalmente sulla Verità parla di  quasi svolta storica. Non trovo che sia una svolta storica, far togliere le castagne bollenti ai genitori mediante un semplice "consenso informato" creando inevitabilmente altre divisioni nelle divisioni. Personalmente, avrei voluto una maggior determinazione nel vietare derive ideologiche ed eventuali genderismi in agguato.


Un'ultima battuta-sberleffo l' ha detta un commentatore sul blog di Gioia Locati (Il Giornale) a proposito della Sanità, ma si potrebbe estendere ed applicare tranquillamente anche alla Scuola e ad altri settori ministeriali. 
"Questo governo si differenzia dai quelli ad istigazione PD, per 10 piccole differenze...trovatele! sulla Settimana enigmistica".
Appunto! Un promemoria da tenere a mente: in politica chi non si distingue, si estingue.

San Diego